Darwin inconsolabile

“Di che m’impiccio? Guarda che siamo tutti genitori di tutti, anche quando non siamo genitori di nessuno.”
Anonima al telefono sull’ autobus 30 express, Roma

 

Ci ho pensato.

E mi è venuto in mente solo questo modo per dirlo

L: Hai presente il salice piangente?

Si, quello tutto frondoso, all’ingiù, che prende il vento, fa il fruscio, che ondeggia, quasi culla…ci si sta bene appoggiati sotto a leggere…

M: quello da nonna? Si. Serve anche a dormire.

L: si anche…

L: E se ti chiedo una figura umana da associare al salice piangente?

M: La Madonna Addolorata. Anche parecchi martiri.

L: A catechismo solo figure piegate vi fanno vedere?

M: Anche nonno Alessandro, alto alto,  sempre curvo. 

L: Va bene, certo.

L: Un animale invece?

M: L’elefante.

L: Dici?

M: Si, lui penzola, e si abbiocca appena può. E il peso, se potesse struscerebbe, ma ha le zampe, è scomodo strusciare; però di base,  ciondola verso il basso. E poi, oltre la proboscide, ha gli occhi all’ingiù, come quelli di papa, che è un pò salice pure lui. Tu no, tu sei più cane”.

E questa è l’intervista a mia figlia Margherita, di 9 anni.

È un’età, quella, in cui tutto si collega senza troppe distinzione di categorie. Il reale è tutto sullo stesso piano.

Poi no. L’adulto separa.

Ma se ci pensi, bastano una Madonna, un salice, un elefante, un nonno Alessandro con tutto il loro corollario di vite simboliche e concrete, linfa, feci e pigmenti, anime e coccinelle, gregarietà e solitudini, a metterti in contatto con una particolare poetica mistica dell’interspecie.

Se uno ragiona in questo senso, cioè del tutto con tutto nel tutto, ne fuoriesce uno schema di legami tra i livelli del bios, non proprio consono in quanto non piramidale, non antropocentrico, forse non del tutto verbalizzabile,dove le dis-asc-trasc-endenze sono fuori dai gangheri, dove le parentele, i legami, le vite sono intra-inter scambiabili a livello di valore ed evoluzione.

Un mondo dove alla fin fine la transustanziazione – conversione della sostanza del pane nella sostanza del corpo di Cristo e del vino, nel sangue di Cristo – e il passaggio da bruco a farfalla diventano cugini alla lontana, agiti dalla stessa ingegnosità.

Anche se è sempre la natura che inventa e l’uomo, “ahinoia”, che copia. Mai viceversa.

Ultimo step.

Hai presente il compost?

Quel luogo dell’esistenza molto anteriore al suo nome e anche al tuo, dove il mischiarsi e il macerarsi tra individui di specie e cosmogonie diverse, il decadere e sfarsi di zuccheri, livelli proteici e amminoacidi nel terreno coincide col generare/alimentare il futuro di un basilico o di un altro tipo di vita?

Ecco, mi sento di poter cominciare a dire, anche se per ora mi suona strano, e solo una parte di me lo capisce, che sia tu che io, che tutti gli altri, figlia, salice e compagnia bella di cui sopra inclusi, tutti noi, siamo compost.

E da qui, da questa constatazione che è una fine del pensiero, come non affidarci a una storia per proseguire?

La mia è quella di una madre anziana, che si finge morta per ricevere un po’ di attenzione da questi figli, così occupati, così distratti, così disamorati, aggressivi in quanto assenti. Simula la morte. La tanatosi. Una pratica molto diffusa tra gli animali che per scampare l’aggressione del predatore, “fanno il morto.”

 

Potrebbe esser un monito, un richiamo, un avvertimento, una metafora.

Una madre che simboleggia il pianeta? Forse. Dei figli che simboleggiano noi? Può essere. Ma nessuno, di certo la bontà. Né la colpa. O il destino. Nessuno è vittima. Tutti sono creatura e natura, e hanno le loro strategie si sopravvivenza predatorie come ce le ha un’ape, un radicchio, un riccio di mare, perché “Tutto è gente”. “Tutto è persona”. Tutto vuole vivere e niente sa più morire.

Lucia Calamaro