Yoann Bourgeois, i talenti plurali

Antonio Mancinelli

A 40 anni è stato direttore artistico al CCN de Grenoble, coreografo, regista, ballerino con un passato circense, il primo a volere dispositivi meccanici per evocare il movimento perpetuo: quello della natura, della vita, dei danzatori. Per il New York Times è un “drammaturgo della fisica, per il New Yorker “un acrobata del nouveau-cirque”. Yoann Bourgeois lavora tra ballo, filosofia, acrobazia, politica, letteratura alla ricerca di quello che è la felice ossessione del suo lavoro: la ricerca del “punto di sospensione”. Ovvero: quando il volo di un corpo raggiunge il suo apice ma la caduta non è ancora iniziata. Che cos’è? «Equilibrio perfetto delle forze in presenza».

Un frammento eternizzabile di tempo, dentro cui poter trovare la spiegazione di tutto. Quel punto è metafora dell’esistere. Ogni sua opera performativa è un dialogo/contrasto tra controllo e crollo che richiede l’assunzione di rischi, sia fisici che estetici. Ma non fa niente senza gioia.

Fugue Trampoline © Pascale Cholette

Quali delle sue creazioni porterà al Festival di Spoleto?

L’esperienza della pandemia mi ha portato a riflettere su argomenti molto concreti, come la responsabilità e la sostenibilità nei metodi di produzione e distribuzione, e quindi ho deciso che solo quando avrei trovato il luogo più adatto a una mia composizione che rispondesse anche a certe esigenze, lì mi sarei esibito. La città è sublime: non è stato difficile trovarli, ma lo sarà mantenerli così come sono. Volevo trovare posti che messero in gioco il mio lavoro in un dialogo con l’ambiente.

 

 

A proposito di gioco: ha dichiarato in molte interviste che “giocare” – in francese jouer, in inglese to play e quindi azioni strettamente connesse alla dimensione dello spettacolo, del vedere ed essere visti. Può essere importante ad affrontare anche i problemi e i dolori di un’epoca così sofferente come quella in cui viviamo…

Il gioco è ciò che mi ha salvato. Giocare significa trasformare certe restrizioni in regole che guidano ludicamente perfino i problemi, le distanze, gli ostacoli. Mi chiede come poterlo “usare” in tempi duri: le risponderò che proprio in certi momenti interviene la creatività, il lampo, l’attimo di luce che rischiara l’oscurità. Gli artisti devono fare questo: insegnare agli altri a trovare nuove formule di salvezza davanti all’incertezza, perché da soli non ce la si può fare. Ma tutti insieme, sì.

Quali sono i temi che possiamo affrontare giocando?

Le minacce che stiamo affrontando riguardano la preoccupazione che deriva da una tecnologia invadente, dalle guerre nucleari, dalle torture che s’infliggono a un pianeta che si ribella. Le armi che abbiamo per combattere questa lotta riguardano la sfera del simbolico e dell’immaginario: dimensioni importanti come quelle fisiche. Così come la dimensione politica non è meno rilevante di quella poetica. L’alternanza di stati stabili e instabili mostra e rivela la struttura ciclica dello spazio e del tempo. Perché la vita sia vivibile, perché la pace possa diventare realtà, non si può fare a meno di un approccio che sia politico e poetico.

 

 

Come hanno contributo le sue molteplici passioni a definire meglio la sua visione artistica?

Mi hanno aiutato a “giocare”, appunto, cioè a non essere categorizzabile dentro una specifica professione, ma di attraversare campi diversi. Certo, per diventare direttore artistico del CCN di Grenoble ho dovuto percorrere tutte le tappe richieste dai percorsi istituzionali – ho studiato con Maguy Marin – ma, a parte questo, mi hanno donato un atteggiamento poroso e permeabile a vari stimoli culturali. Il mio progetto è quello di smembrare certe etichette e di creare dei legami sempre più stretti che non creino fratture ma saldino artisti molto diversi tra loro o stabilire per esempio, grazie agli artisti, nuovi legami con il territorio.

 

 

Infine, qual è il messaggio che vuole trasmettere al pubblico?

Che fa completamente parte dei miei spettacoli. Spero di trasmettergli la convinzione che il proprio sia un’entità indissolubile di interazioni permanenti. Solo la gioia può permetterci di comporre il proprio se stesso con quello degli altri.