Sin dalla prima edizione il Festival dei Due Mondi di Spoleto si è caratterizzato per una forte apertura alla interdisciplinarità proponendo un cartellone non solo di generi di spettacolo differenti ma anche come momento di incontro di culture differenti: la stessa apertura – ovviamente non programmata o studiata a tavolino, in particolar modo quando nel dizionario italiano erano lontani termini come “gay friendly” o concetti come quello di “inclusione” – naturalmente c’è stata per l’identità di genere di chi ha partecipato al festival come artista, organizzatore o spettatore.
SCHIPPERS E VISCONTI (1973)
La presenza di artisti appartenenti a quella che oggi si chiama comunità Lgbtqia+, che ai tempi delle prime edizioni del festival la stampa chiamava con lunghe perifrasi o espressioni come “stravaganti”, è sempre stata un dato di fatto tanto che la prima edizione fu salutata con un lancio aereo di volantini contro il nascente festival, nel quale si temeva il futuro di Spoleto come terra di vizi (o isola felice, questione di punti di vista) di omosessuali. Una nota cronista, poi, espresse la preoccupazione che in questa condizione di libertà del festival si imponesse una morale.
Al giorno d’oggi, certo, tutto può sembrare addirittura naïf, facendo uno sforzo di escludere il pensiero razzista di certi termini e affermazioni: ma è indicativo di quale forza e novità, non solo artistica, ha avuto il Festival dei Due Mondi nella storia dello spettacolo e del costume del nostro paese. «Scriveva Gian Carlo Menotti nel testo di presentazione Perché il Festival? del ’58: «Forse il nostro unico merito è di aver scoperto un angolo sereno e incantevole dove i giovani artisti possano esprimersi liberamente, sciolti dall’impegno di credo politici, scaricati dalle preoccupazioni delle varie mode estetiche e senza imposizioni di direttori autocratici (…). È cosa risaputa che in genere sono piuttosto i giovani ad insegnare a noi e con il loro entusiasmo concreto a sostenere o a distruggere i valori dell’esperienza».
VALLI E MENOTTI (1972)
In una remota edizione l’Msi organizzò un volantinaggio per protestare contro «l’invasione omosessuale» della città nei giorni del Festival. Ed è sempre di Menotti, inventore e anima del festival, la risposta migliore a una nota cronista preoccupata per questo nuovo avamposto per la cultura gay in Italia, sostenendo che gli artisti di Spoleto sono gli stessi che vanno a Vienna, New York o Venezia e che cambiava solo la grandezza delle piazze e quindi la visibilità degli artisti, chiudendo la questione con la dichiarazione di libertà: «D’altra parte cosa vuol farci? Io mi rifiuto di mettere la foglia di fico alle statue».
Negli anni Sessanta ai Due Mondi c’è spazio anche per la poesia, nel luglio del 1967 il New York Times titola Allen Ginsberg Is Charged With Obscenity in Spoleto. Il poeta è al festival dei Due Mondi per un reading in lingua originale accompagnato all’armonium da Fernanda Pivano, all’ingresso del teatro ci sono poche, pochissime, copie stampate con le traduzioni italiane delle poesie del reading che bastano per farlo arrestare per oscenità. Anche l’aperta Spoleto, forse, non era ancora pronta a versi come “Voglio l’orgia della nostra carne, orgia / di tutti gli occhi contenti, orgia dell’anima / che bacia e benedice il suo corpo / cresciuto mortale, / orgia di tenerezza sotto il collo, orgia di / gentilezza alla coscia e alla vagina / desideri a mani piene / all’uccello, piacere preso in / bocca e in culo, piacere ricambiato / fino all’ultimo respiro”. *
Ricorda il giornalista Giuseppe Videtti su La Repubblica: «Gli artisti si sentivano liberi a Spoleto, il conformismo già sconfitto da Menotti, che in città portava intrighi e passioni (all’hotel Gattapone c’era una “stanza francescana” di cui nessuno conosceva l’esistenza dove si eclissavano Marina Cicogna e Florinda Bolkan, e tutte le coppie che agli occhi del mondo non erano coppie). Ci sarà un motivo se il carismatico e fascinoso direttore Thomas Schippers volle che le sue ceneri fossero tumulate sul muraglione di Piazza Duomo, di fronte al Teatro Caio Melisso – ristrutturato dalla Fondazione Carla Fendi – anziché accanto alla bella moglie Elaine Lane Phipps, morta anch’essa giovane quattro anni prima». È con gli anni Settanta che l’elemento omosessuale non è più argomento strettamente legato alla vita privata dell’artista, e quindi argomento per la morbosità dei cronisti o da chiacchiere nel foyer del teatro, ma fatto teatrale (nel 1976, con il personaggio del femminiello nella fiaba musicale La gatta cenerentola di Roberto De Simone) o fatto intellettuale (nel 1978 con la prima mostra italiana dedicata al fotografo Wilhelm von Gloeden, con interventi di Michelangelo Pistoletto e Andy Warhol). Ma quel senso di libertà e di territorio libero da pregiudizi, dovuto anche a un’innata comprensione degli atteggiamenti umani da parte degli spoletini, esiste e resiste.
*I want the orgy of our flesh, orgy
of all eyes happy, orgy of the soul
kissing and blessing its mortal-grown
body,
orgy of tenderness beneath the neck, orgy of
kindness to thigh and vagina
Desire given with meat hand
and cock, desire taken with
mouth and ass, desire returned
to the last sigh!