Musica

Classico a chi?

La techno, Bach e Francesco Tristano

di Flavia Forestieri

La musica è una sola. Le note sono sette. La musica è un linguaggio universale.
Sono frasi che abbiamo sentito mille volte e che viaggiano costantemente in uno spettro di significato che va dalla banalità sconcertante al più sottile concetto filosofico, a seconda di chi le pronuncia e in quale contesto. Perché se è vero che le note sono sette (tra l’altro, esclusivamente nel nostro sistema di riferimento occidentale) e più o meno chiunque nel mondo produce musica, non è detto che uno specifico brano sia per forza universalmente compreso da tutti in tutto il pianeta. Nonostante la globalizzazione, la musica rimane ancora un fatto incredibilmente culturale, che continua a dipendere dal valore e dai significati che ogni singola comunità decide di attribuirle. Se proprio vogliamo fare questo tipo di ragionamento de “la musica è una sola” quindi, quando per esempio parliamo della coesistenza odierna di musica “classica” e musica pop, di sale da concerto e discoteche, dobbiamo sempre specificare che stiamo parlando del nostro sistema culturale di riferimento, parzialissimo, occidentalissimo e, anche per questo, snobissimo.

Francesco Tristano © Aymeric Giraudel

Stabilito a priori questo, però, la domanda rimane: perché nella mia lista preferiti Spotify c’è la La traviata, accanto a Liberato, accanto a Lucio Dalla, accanto a Madame? Come faccio a riuscire ad apprezzare delle “barre” di trap (le barre sono le frasi di un testo rap) e il secondo dopo emozionarmi per un’aria magistralmente interpretata? Perché sono musicalmente confusa dal tempo postmoderno in cui vivo o forse perché la musica è veramente una sola? È una domanda che mi faccio da tanto tempo e a cui non posso, o forse non voglio, trovare una risposta definitiva. Anzi, solitamente mi piace sempre avvicinarmi a realtà che possano problematizzare la questione, tanto per movimentare ancora un po’ la situazione. Una di queste realtà “problematizzanti” è quella della carriera musicale di Francesco Tristano, uno degli artisti che suonerà a Piazza Duomo insieme ai The New Bach Players. Compositore, pianista, un tempo clarinettista, Tristano ha 39 anni (il che significa che in ambito musicale può essere considerato ancora un giovane artista) ed è la rappresentazione vivente della scissione del mercato musicale attuale.

Se si fa una rapida ricerca su YouTube senza conoscere il suo percorso si potrebbe pensare che l’algoritmo del sito si sia momentaneamente danneggiato. Nei primi video lo vediamo seduto al pianoforte, nelle rassicuranti sale da concerto o impegnato in qualche masterclass, sempre nell’ambito classico. Indossa la giacca, è pacato e sorridente, concentratissimo al suo pianoforte. Tutto normale. Arrivati al terzo risultato però iniziamo a confonderci: è sempre lui quello in t-shirt, di fronte al pc, circondato da tastiere e synth in una discoteca avvolto nel fumo del ghiaccio secco? Sì, lo è. Lo stesso Tristano che abbiamo visto e sentito suonare le variazioni Goldberg di Bach nell’ambito del Bach Festival a Köthen si sta esibendo adesso allo Stay True Festival, portando un pezzo techno-elettronico, circondato da ragazzi con i cocktail in mano. Certo, il pianoforte sul palco c’è e Tristano lo suona ampiamente dal vivo, campionando per lo più ciò che suona, ma non finisce per perdersi nello sperimentalismo estremo che ancora troppo spesso sfocia nell’inascoltabile per chi non sa leggere lo spartito. Non si può negare che quello che sta suonando su quel palco sia un pezzo da discoteca, anche se di classe, di quelli che la gente balla per davvero.

Francesco Tristano © Marie Staggat

Che tipo di musicista è allora Francesco Tristano? Difficile a dirsi, trovandosi raramente di fronte a una carriera tanto scissa come la sua. Come tutti nel settore della musica classica a questi livelli ha un curriculum di studi da lasciare di stucco. Studia tanto, tantissimo, fin da bambino, in una casa in cui a detta sua c’era musica dalle 6 del mattino a mezzanotte. Inizialmente vorrebbe fare il batterista, anche se suona già il piano, ma si rende presto conto che tra i due strumenti non c’è paragone in quanto a possibilità espressive. Del resto, anche il pianoforte è in parte uno strumento a percussione. È esattamente con questo spirito che approccia Bach, il suo preferito di sempre, che per lui diviene l’inizio e la fine della sua musica: in Bach e nel barocco intravede le forme ritmiche della techno e nella sua techno mette la sintassi di Bach. Il basso continuo, del resto, non è forse la versione faticosa e complessa delle basi create in loop station? Per Tristano sì, e non vi è nessun problema nell’affermarlo.

Nella sua vita, nel corso dei suoi studi soprattutto, non sarà proprio semplice raccontare questo suo dualismo musicale. Troppo spesso nei conservatori si storce ancora il naso di fonte alla musica elettronica, figurarsi quella suonata nei locali. Tristano però è fortunato, perché alla Juilliard (una delle accademie d’arti performative più prestigiosa e selettiva al mondo) accanto alla classica studia la musica elettronica e intuisce che è quello il campo in cui vuole sperimentare, anche se non è minimamente intenzionato ad abbandonare il pianoforte. Improvvisa. Dedica all’improvvisazione un grandissimo numero di ore, accanto a quelle che ha sempre dedicato allo studio, senza apparente sforzo. Così viaggia attraverso Cage, il jazz, Check Corea e Keith Jarrett, e ancora Bach, sempre al centro. Scopre le gioie del mixer, delle inesauribili possibilità sonore e ritmiche che riesce oggi a darti un software e se ne innamora completamente.

Francesco Tristano al Concert hall Great Amber

Ci verrebbe da dire che siamo di fronte a una sintesi di classico e pop come raramente se ne incontrano e che Francesco Tristano è un vero e proprio unicorno musicale, una creatura in grado di connettere i due macro mondi, costruendo un ponte con la sua musica. La realtà però è meno favolistica di così, perché le sue due passioni si traducono in due carriere distinte e separate e il pubblico che lo ascolta in sala sulla poltroncina di velluto non è lo stesso che lo ascolta in spiaggia a Ibiza e viceversa. Per cercare di dissolvere questa inevitabile dicotomia, ho pensato che non ci sarebbe potuta essere persona migliore a cui chiedere un parere se non a lui stesso.

Spulciando tra le interviste di qualche anno fa si legge spesso di come le tue due carriere, quella classica e quella elettronica viaggino su due piani, paralleli per importanza ma comunque separati per questioni di pubblico e di mercato. Sei riuscito/stai riuscendo a trovare una sintesi ad oggi?

Secondo la mia opinione la musica è come la cucina: usando gli stessi ingredienti si possono fare piatti anche molto diversi fra loro. In cucina gli ingredienti sono per esempio olio, aglio e pomodoro, nella musica abbiamo la melodia, l’armonia, il ritmo, il tessuto musicale. Questi ultimi possono essere cucinati per fare una sonata, un pezzo techno, una canzone folk, etc. I media nel secolo scorso si sono molto preoccupati di dare definizioni commerciali agli stili e ai generi, ma come ha detto Chick Corea nei primi anni Ottanta, si tratta di definizioni fittizie. Personalmente ho fatto musica in contesti sociali differenti e ho provato piacere nel trovare complementarietà di strumenti acustici e elettronici. Ciò che collega tutto, da sempre, sono io e la mia volontà di realizzare sempre produzioni di qualità. Ho la grande fortuna di avere un pubblico che mi segue nelle mie nuove avventure.

Francesco Tristano © Ryuya Amao

Il paragone tra musica e cucina mi piace moltissimo e, per quanto sono sicura che a qualcuno possa far storcere il naso, anche gli chef stellati cucinano con gli stessi ingredienti dei cuochi delle tavole calde e non è detto che per questo si possa mangiare male da questi ultimi, anzi. Mangiare è certamente una questione di gusto, ma anche di cultura, tradizioni, sentimenti, radici, perfino emozioni: le stesse identiche cose che si ritrovano e che ricerchiamo in un brano musicale. Si può mangiare in un esclusivissimo ristorante per far colpo sul partner, a casa propria da soli senza maglietta, con gli amici al pub, con i colleghi di lavoro in un posto troppo sofisticato per le proprie tasche, ma si porterà sempre e comunque del cibo alla bocca, che avrà pure un significato preciso in quel contesto, ma servirà in ogni caso a placare la nostra fame. E allora, chiedo ancora:

Ricollegandomi alla domanda precedente, credi che una delle evoluzioni possibili della composizione classica possa essere proprio in questa commistione di classico e elettronico (o comunque altri generi “pop”) oppure le due cose sono destinate a rimanere separate?

Mozart non ha mai scritto una sonata “classica”. Credo che invece fosse il più “pop” in assoluto, se teniamo presente l’epoca in cui compose la sua musica. Le variazioni Goldberg di Bach, tra i pezzi di musica occidentale più importanti in assoluto, sono basate su una melodia popolare che parla di rape e radici. Come ho detto, le separazioni in musica sono per lo più illusorie. Personalmente, io non le vedo.

Rape e radici. A questo dovremmo pensare d’ora in poi ogni volta che vedremo un pianista laccato sedersi con grazia sul seggiolino del pianoforte, spostando le code del frac per suonare le Variazioni Goldberg. E non lo si dovrà intendere come qualcosa di svilente, di troppo terreno, che riporta l’incredibile musica di Bach con i piedi (letteralmente) nel fango, ma come un ulteriore elemento arricchente, da aggiungere alla complessità dell’arte musicale. Un’arte, quest’ultima, troppo difficile da imbrigliare, di cui è troppo complesso, da sempre, stabilirne confini. L’unica cosa che possiamo dire è che tutto alla fine si risolve in ogni caso sopra a un palco, con uno strumento in mano, di fronte a un pubblico che ascolta. Che questo strumento sia una tastiera midi o un clavicembalo e che questo pubblico indossi oxford lucide o abbia i piedi nudi nella sabbia, non cambia il paradigma generale a cui è sottoposta la musica, così come ogni tipo di arte: avere qualcuno in grado di esperirla.

Francesco Tristano © Ryuya Amao

E quando la musica non si è potuta esperire? È difficile immaginare una personalità che vive immersa nel pubblico come quella di Francesco Tristano, chiusa in casa a guardare la tv sul divano così come lo siamo stati noi. Penso allora a cosa possa essere accaduto nella mente di un artista che, come lui, oltre ad essere interprete, è anche artefice della propria musica in un periodo di trauma collettivo come quello vissuto durante il lockdown.

Si dice sempre che le grandi opere d’arte nascano nei momenti di crisi e smarrimento. Io ho trovato difficile riuscire a concentrarmi e ad essere produttivo nel corso dei vari lockdown. Sono riuscito comunque a registrare il mio nuovo album di pezzi solistici per pianoforte, che contiene diversi nuovi lavori originali. Se si tratta di brani riflessivi, introspettivi, specchio della confusione del tempo che stiamo vivendo lo lascio decidere a chi lo ascolterà. Io sono veramente felice di ritornare a suonare sul palco quest’estate.