Danza

Blanca Li: la consistenza della virtualità

Antonio Mancinelli

Blanca Li © Nino Bustos

Al Festival porta Le Bal De Paris, esperienza immersiva vincitrice del Leone d’Oro nella sezione “Venice VR Expanded” alla 78ᵃ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Impossibile definire con una parola “il” lavoro di Blanca Li: è coreografa, ballerina, attrice, regista, performer. Forse l’unico modo per spiegarla chi non ne conosce il lungo cursus honorum è “progettista del movimento corporeo”. E ogni sua creazione, dal leggendario spettacolo Macadam Macadam del ’99 fino a Robot del 2013, universalmente riconosciuto come il primo esperimento di danza applicato agli umanoidi, è un esempio di crossing culturali dove convivono stimoli di geografie, epoche e campi differenti, dalla moda alla scienza, dalla tecnica scientifica a varie espressioni musicali, dalla storia locale alle espressioni globali. Blanca Li si esprime in una direzione che ogni volta ricalcola il cammino verso nuove forme culturali al cui centro c’è la fisicità di ballerini (e non) riesaminata ogni volta da un pensiero e da un’angolazione diversa. È stata direttrice artistica del Centro Andaluso per la danza. Vive tra Spagna – dov’è nata ed è a capo di los Teatros del Canal a Madrid – Stati Uniti ed Europa, in modo particolare Parigi: città dove risiede e, dopo aver ricevuto la Legione d’Onore, nominata membro dell’Ordre des Art et des Lettres e dell’Ordre Natino du Mérite, nel 2019 è stata eletta come uno dei tre membri permanenti del nuovo dipartimento di coreografia.

Le Bal de Paris de Blanca Li

“Le Bal de Paris” è una festa della pluralità dei linguaggi. Ma la tecnologia può veramente aiutare l’arte o addirittura sostituirla?

Cosa intende per tecnologia? Per esempio, ho usato fin dai miei primi spettacoli molti video, proiezioni, e suoni “artificiali”. Del resto, è stato proprio grazie ai dispositivi dei computer che, recentemente, abbiamo potuto lavorare anche se eravamo in città sparse per il mondo. Per me tutto quello che non conosco mi sfida ad attuare qualcosa di nuovo, e non ne ho paura. Deve essere al servizio della creatività, e non il contrario, ovvio. Per esempio, ciò di cui mi occupo adesso è creare emozioni attraverso le macchine. E Le Bal de Paris – che ha una trama fiabesca, volutamente infantile – si avvale della realtà aumentata dove danzatori in carne e ossa partecipano con il pubblico la stessa dimensione “altra” visibile nei caschi VR e quindi ogni volta si origina un processo originale derivato dalla triangolazione di realtà virtuale, movimenti dei ballerini e quelli del pubblico invitato sul palco a partecipare. Virtualità e realtà possono condividere lo stesso destino: provare a essere più poetici.

Nella sua volontà di non essere “definita” dentro una casella culturale precisa, lei ha voluto dare molto rilievo anche alla moda contemporanea, spesso trascurata dalla cultura ufficiale come meritevole di interesse…

Amo molto la moda: ho iniziato a lavorare con fashion designer sin dagli inizi del mio lavoro: Azzedine Alaïa, Stella McCartney, Jean-Paul Gaultier. Gli abiti fanno parte di un’industria e di sicuro non esiste un’industria del balletto: ma all’origine ci sono persone che non potrei chiamare altro se non “artisti”. Per Le Bal de Paris, l’ispirazione arriva dalle operette e dai musical tradizionali. In seguito, ho scritto un copione originale trasposto in un universo irreale e senza tempo, rétro, futuristico, classico, contemporaneo e, soprattutto, allucinatorio. È una storia in tre atti che ha per protagonista Adèle, una giovane donna indipendente che torna a Parigi dopo aver girato il mondo per il cui ritorno partecipa a un ballo, organizzato da suo padre, dove incontra di nuovo, tra gli invitati del “tout Paris”, il suo primo amore, Pierre, ho chiesto a Chanel di creare un’intera collezione virtuale. Ogni partecipante ne potrà scegliere uno da far indossare al suo avatar, in modo da sentirsi completamente inseriti dentro quell’atmosfera. Sono stati particolarmente collaborativi e soprattutto, ci siamo molto divertiti insieme.

 

 

Cosa rappresenta per lei un appuntamento come il Festival di Spoleto?

La possibilità per una moltitudine di grandissimi autori di mostrare ciò che fanno, ma anche di condividere insieme al loro pubblico la quotidianità in una cornice che non ha uguali in tutto il mondo.

 

 

Cosa ne pensa della grande presenza femminile di questa edizione? Una sorta di risarcimento o un gesto un po’ “nell’aria dei tempi”?

Né l’uno, né l’altro. È un atto di giustizia. Per troppo tempo le grandi manifestazioni istituzionali impegnate nella cultura non hanno promosso abbastanza il lavoro di registe, direttrici d’orchestra, scrittrici, sceneggiatrici, attrici, e così via… Questo è un problema, perché credo fermamente nell’uguaglianza della differenza. Il punto di vista femminile, fortunatamente, è sempre dissimile da quello maschile. E dico “fortunatamente” perché più idee e opinioni sono presenti nelle conversazioni culturali, più importante sarà il grado consapevolezza e di emotività che potranno far nascere e crescere tra le persone.