Le Crocodile trompeur
/ Didon et Énée
Ci sono linguaggi architettonici che sono trasposizioni visive del suono, ci sono posture di canto/recitazione che sono riservate alla percezione dell’occhio, ci sono contrappunti oscillatori che sono abitabili in una dimensione, in un fondale, in un canone di scena.
Lo spazio incomparabile di Le Crocodile trompeur / Didon et Énée, adattamento del 2013 di Samuel Achache, Jeanne Candel e Florent Hubert ispirato all’opera Dido and AEneas con musica di Henry Purcell e libretto di Nahum Tate del 1689, prende a riferimento la Allegoria dell’udito di Jan Brueghel il Giovane, dipinto del 1645-1650, un olio su tela con strumenti appesi alla parete, sostenuti verticalmente a terra, reclinati sul pavimento, un cordofono suonato da una dama, una pianola contro il muro, un vivarium allegorico ma anche materico, un’anatomia di convenzioni fantastiche e realistiche che al talento raffigurativo fiammingo del XVII secolo accosta il montaggio contemporaneo di una nuova narrazione della musica dove gli strumenti diventano attori a pieno titolo, e dove i musicisti-attori-cantanti sanno fare tutto e riempiono di performance, jazz e trasformismo la musica barocca di Purcell per il libretto di Tate, non escludendo assonanze con l’Eneide di Virgilio e con i Sonetti di Shakespeare, non voltando le spalle ai cinema e all’arte del documentario. Ma dico di più. Qui il corpo della voce, la grana della voce, o la voix humaine della musica sempre più somatizzano le improvvisazioni, gli arrangiamenti, le riscritture trasposte. E il risultato dà spesso luogo a schemi di una rimodulazione reloaded, a nuovi rapporti con l’ambiente, a impensati approcci intellettuali ed emotivi.
Le Crocodile trompeur / Didon et Énée con la regia di Samuel Achache e Jeanne Candel non teme di provocare, di mettere in discussione l’opera di Purcell affrontandola trascurandone o rifiutandone lo stile dell’epoca. L’impresa manifesta l’esplicito proposito di terremotarne i connotati, come quando ci si misura col senso di una tragedia antica differenziandone gli appuntamenti convenzionali, il lessico accumulato. Per questa impresa si è volutamente sfaldata la sintonia, la congiuntura tra minimalismo e spettacolarità, s’è cercato d’assicurare alla macchina complessiva uno scarto continuo tra ricerca del fantastico e imprinting realistico. E il criterio sperimentale annunciato s’è attenuto quindi a un andamento di contrappunto. Ecco perché s’invoca la dissociazione dei deliri visivi di Jan Brueghel il Giovane con sottotesto che implica amare, partire, divorare, lasciarsi morire. Ecco perché la musica diventa azione, drammaturgia plastica, derubricando l’etimologia e la consonanza della grande musique. Ad affermarsi, qui, è un’asistematicità. Loro avvisano, fanno sapere che a un cantante potrebbe essere chiesto di scendere dal canto lirico al canto semplice, al canticchiare, quando non addirittura al cantare parlato. A volte sembrerà d’assistere a una lezione sugli strumenti contemporanei. A volte prevarrà un’estrema asciuttezza. A volte invece certi valori sono stati contratti, ma in alcuni casi hanno subìto un protrarsi di tempi a causa di inserimenti di partiture o di infiltrarsi di commenti. L’interdisciplinarietà è un criterio molto fluido in specie se, come avviene per l’adattamento e la regia di Le Crocodile trompeur / Didon et Énée, tutti gli artisti partecipi come ideatori e interpreti, sono in pratica ritenuti co-autori.
Oltre alla rigenerazione, alla ritrascrizione e al riassemblaggio musicale, in questa nuova impresa operistica acquista poi rilievo l’odierna rappresentazione letteraria. Poteva persino stupire, originariamente, la linearità del libretto di Nahum Tate, dove sono netti, controversi e poi fatali i sentimenti, gli affetti e le passioni di una Didone regina di Cartagne (che lotta contro il suo innamoramento per Enea malgrado il proprio giuramento di fedeltà al marito morto, e però alla fine cede) e di un Enea cui uno spirito in forma di Mercurio ricorda il destino d’essere fondatore in Italia d’una futura nazione. Nell’opera di Purcell-Tate ai due intimi, simbiotici e incompatibili protagonisti non si concedeva il diritto di sfumature psicologiche, di mezze tinte attitudinali, di circostanze introspettive. Certe fatalità erano insomma rigide e prive di suggestione umana. La morte di Didone per dolore, quando Enea si rimette in viaggio obbedendo prima agli dèi e poi sostanzialmente a lei (che malvolentieri si sottopone al fato), era di proposito nel 1689 un atto senza alcun approfondimento, era quasi il corrispettivo di una coraggiosa, provocatoria crudeltà teatrale, e oggi quell’essenzialità viene rispettata ma entrano in gioco altre valen- ze mediatrici. Quali? All’oggettività del lessico e dell’azione Le Crocodile trompeur / Didon et Énée può annettere sottigliezze che nel XXI secolo fanno ricorso a un significato più modulato della musica, a un’illustrazione sonora meno altera degli spasmi. Vale a dire che qui il barocco ingle- se originario cede funzionalmente ed epidermicamente a un artigianato paziente e fantasioso dei nostri anni, a una sfrenatezza esaltante e naturale, al principio di una jam session trasformistica e squilibrata, varando un’indisciplina, un’esuberanza, un’energica orchestra di contrabbasso, clarinetto, sassofono, violino, tromba e batteria (anche omaggio da dj-set che la scenografa Lisa Navarro fa al quadro di Jan Brueghel il Giovane) il cui merito si deve allo straordinario collante del direttore musicale Florent Hubert, in linea con la direzione corale di Jeanne Sicre.
Ma c’è pur sempre, alla base di questa produzione de la vie brève/ Théâtre de l’Aquarium e del prestigioso Théâtre du Bouffes du Nord di Parigi, un connotato filosofale, un multilinguismo cosmopolita, un’arditezza sperimentale e un’interazione sapiente d’adesso tra musica scenica e drammaturgia sonora, un genere fuori-catalogo in cui Italia e Francia contemporanee possono competere, forse con qualche sventatezza pre- scindente dai generi in cui potremmo ammettere sottovoce che i transalpini non hanno pudore. Poi c’è la squadra in campo, una dozzina di spe- cialisti che indossano la maglia e svolgono il ruolo di libero sorprendendo, creando, suonando la recitazione, interpretando le partiture. E i registi hanno fatto pratica di teatro e di suono.
Samuel Achache ha lavorato con l’ungherese genio scenico Árpád Schilling, tirocinio condiviso anche da Jeanne Candel. Loro due, Achache e Candel, oltre al Crocodile trompeur/ Didon et Énée (premiato con il Molière nel 2014 come miglior spettacolo di teatro musicale), firmano da Claudio Monteverdi Orfeo/Je suis mort en Arcadie alla Comédie de Valence, e La chute de la maison ricavata da Poe, Schubert e Schumann al Festival d’Automne. Samuel Achache scolpisce musica al Festival d’Avignone 2015, ha diretto il Théatre de l’Aquarium per poi fondare la compagnia Le Sourde. Jeanne Candel co-dirige il Théatre de l’Aquarium, collabora con l’Opéra de Lyon, l’Opéra Comique e l’Opéra de Paris, e crea la compagnia la vie brève.