History of Violence
Verso le quattro del mattino del giorno di Natale 2012, tornando a casa dopo una cena da amici, Édouard incontra un uomo, Reda. «Mi ha avvicinato per strada e alla fine gli ho proposto di venire da me. Lì mi ha raccontato la storia della sua infanzia e l’arrivo in Francia di suo padre, in fuga dall’Algeria. Abbiamo trascorso il resto della notte insieme, abbiamo parlato, abbiamo riso. Alle sei del mattino, ha tirato fuori una pistola e ha detto che mi avrebbe ucciso. Mi ha insultato, violentato».
Ha la potenza della vita vissuta Storia della violenza, il racconto autobiografico di Édouard Louis, brillante e molto letto scrittore francese, oggi trentenne. Pubblicato nel 2016 (in Italia da Bompiani, come tutti i libri di Louis, nella traduzione di Fabrizio Ascari), seconda opera dello scrittore dopo l’esordio in grande con Il caso Eddy Bellegueule del 2014, Storia della violenza ripercorre il dramma dello stupro vissuto dal protagonista/autore in quella notte di Natale, con un andamento che intreccia continuamente temi più generali e sociali come l’emigrazione, il razzismo, la povertà, il desiderio, l’omofobia. È proprio questo riverbero tra personale e politico, tra privato e pubblico ciò che è piaciuto a Thomas Ostermeier, 53 anni, il più conosciuto e applaudito regista del teatro tedesco di oggi. La “sua” Storia della violenza, per la prima volta in Italia al Festival dei Due Mondi di Spoleto, è nato alla Schaubühne di Berlino nel 2018, seguito nel 2020 da un altro spettacolo tratto dall’opera dello scrittore francese, Chi ha ucciso mio padre?.
«Il lavoro di Louis mi interessa» – spiega Ostermeier – «perché dà voce agli emarginati, a chi vive in povertà, a chi vive con disagio in questa Europa che vuole essere il continente dei pochi felici. Louis parla di classi sociali, di ricchi e dominanti e di poveri marginalizzati. L’ultimo a fare qualcosa del genere è stato probabilmente Bertolt Brecht. Io la considero una linea importante del mio lavoro. Sono queste questioni che mi interessa portare a teatro, fin dal ‘98, fin dai tempi di Shopping and fucking, quando misi in scena il testo di Ravenhill sulla gente che vive a Londra vendendosi e in cerca di lavoro. Su questa stessa linea, più di recente, ho lavorato sul saggio di Didier Eribon, Ritorno a Reims, e ora, appunto, su Édouard Louis che è stato suo allievo. Mi interessano gli scrittori che nel paesaggio intellettuale introducono il discorso sulle classi. Mi fa piacere confrontarmi con loro e dare loro voce». Storia della violenza lo fa in modo particolare, perché gli effetti sconvolgenti della violenza sessuale non si misurano solo sul corpo e sulla mente della vittima, il giovane Louis che si racconta, ma si riverberano sui diversi modelli autoritari delle strutture istituzionali, la polizia e l’ospedale, per esempio, sulla famiglia e l’omofobia delle classi lavoratrici, e perfino sulla marginalità del violentatore che è un immigrato, uno che ha avuto solo la sfortuna di essere cresciuto “dalla parte sbagliata del Mediterraneo”. «Il trauma privato finisce per esplorare questioni pubbliche e il diario intimo diventa un racconto generale della nostra società», spiega il regista.
Se Louis usa la scrittura per trovare ciò che più è disturbante ed esprimerlo, Ostermeier lo segue con una drammaturgia, firmata da lui stesso con Florian Borchmeyer e lo stesso Édouard Louis, che modifica leggermente il romanzo originale – con qualche taglio e l’aggiunta di alcuni dialoghi – e articola in scena la complessa struttura narrativa con linguaggi diversi, la recitazione dal vivo, le proiezioni video sulla parete di fondo per mostrare in primo piano i volti dei personaggi ma anche i momenti più drammatici, la musica che scandisce i diversi capitoli della storia, e parti animate, quasi danzate, in modo da mescolare il prima e il dopo, raddoppiare gli eventi, mostrare punti di vista diversi proprio come fa il diario intimo sulla pagina.
La scena minimalista di Nina Wetzel è uno spazio bianco con un paio di tavoli, sedie che creano i diversi ambienti, su un lato il batterista e tastierista Thomas Witte scandisce la recitazione dei quattro interpreti, guidati da Laurenz Laufenberg, attore storico della compagnia della Schaubühne, che è sia il narratore che il protagonista e ha una somiglianza fisica straordinaria con Louis anche se non cercata, come ammette lo stesso Ostermeier, e accanto a lui Renato Schuch che è Reda, Alina Stiegler e Christoph Gawenda che si alternano nei diversi personaggi chiamati in causa. «Fondamentale è il contesto con cui si misura il dramma privato di Édouard» – spiega Ostermeier – «Quando lui va dalla sorella Clara, nella Francia settentrionale e le confida l’intera vicenda per cercare un riparo affettivo, per esempio, lei lo incolpa di leggerezza e suo malgrado finisce per riproporre l’omofobia strisciante della famiglia in cui è cresciuta e in generale delle classi lavoratrici. Oppure quando Édouard capisce che non è una grande idea andare alla polizia, o all’ospedale, perché nel freddo e burocratico iter della ricostruzione del fatto o nei resoconti dei medici ritrova i consueti modelli di razzismo e omofobia, non le proprie le emozioni o la propria storia». «Di chi è la storia adesso?» si chiede Édouard.
Lo spettacolo diventa così una vicenda che offre un forte impatto emotivo ma anche spunti per riflessioni sulla struttura politica del nostro mondo, anche quelli che paiono più inconciliabili: la dissociazione post- trauma del protagonista, per esempio, che vede se stesso mentre si affanna sotto la doccia a togliersi dal corpo l’odore dello stupratore, ma allo stesso tempo sa che denunciandolo ha dato alla polizia il pretesto per commenti razzisti, o l’ambivalente sentimento che prova verso Reda, di odio, ma anche di empatia verso chi, arrivato in Francia per mantenere la sua famiglia, ha trovato violenza, oppressione, a sua volta vittima del razzismo francese.
«Il modo in cui la gente intorno a Édouard agisce e reagisce, le stesse reazioni di Édouard determinano una complessità, che è il lato politico della storia» – dice Ostermeier – «Anche se non vuol dire che Storia della violenza sia uno spettacolo “politico”. Politico per me vuol dire qualcosa che è in grado di imporre un cambiamento nella realtà. Ma chi va a teatro è solo una piccola minoranza, e da sola non può cambiare granchè. Quindi se parlo di politica, mi riferisco al fatto che gli spettatori possano trovare nello spettacolo qualcosa che può diventare importante per loro stessi nella società», compresa la consapevolezza che i fili che legano la paura, il razzismo, l’omofobia, l’amore, il desiderio, l’attrazione, la violenza non si districano facilmente.
«Per tutte queste ragioni sono molto legato a questo lavoro» – dice Ostermeier – «Ringrazio Édouard che ha avuto la fiducia nel consegnarmi questa sua storia. E ringrazio gli attori che si sono messi in gioco in modo evidente, autentico, pieno di verità, perfino nelle scene intime dello stupro. Complici, in questo, della mia idea di teatro, di rifondare la recitazione per elevare una storia. E questa storia, di violenza, omofobia, povertà di classe è alla fine anche una storia d’amore, forse il tema più importante della vita umana».